I Due Platani a Coloreto, ‘il pranzo migliore dell’anno’

Sebbene nei vocabolari il primo significato resti quello di “consultazione diretta del popolo, chiamato a pronunciarsi, in termini di approvazione o di rifiuto, su specifiche scelte affidate al suo giudizio”, è innegabile che l’accezione più comune del termine ‘Plebiscito’ sia quella di “consenso generale e unanime”, nell’italiano corrente. Un esempio di plebiscito, ad esempio, è la quasi univocità delle risposte che riceve dalle guide, dagli articoli, dalle recensioni e anche dall’uomo della strada chiunque stia cercando un ristorante nel parmense o nel reggiano: la Trattoria ai Due Platani di Coloreto. Il plebiscito è appiccicato alla porta, un collage di tutti gli adesivi tributati dalle guide più prestigiose (il Bib Gourmand della Michelin, la chiocciola di Slow Food, Miglior Trattoria d’Italia per l’Espresso, tre gamberi per il Gambero rosso). Il plebiscito è sulla stampa, sulle classifiche, nei consigli di tutti quelli che mi hanno consigliato una meta a mezzo social. Un plebiscito, appunto.

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Ero pronto a ricevere un ‘no hay lugar, non c’è posto’ come un un vecchio corto natalizio della Disney che amavo guardare da bambino. Chiunque parli dei Due Platani avverte che i mesi di attesa per un tavolo sono uno o due, in base ai periodi dell’anno, e partivo già con speranze ammaccate. Quando la voce al telefono (che risponde solo dalle 9 alle 11 di mattina e dalle 5 alle sette di pomeriggio, ricordate bene) mi ha detto ‘perfetto, due persone alle 13, nome?’ per l’emozione sono saltato giù dal letto. Ero ancora a letto alle 9.30. I Due Platani viene descritta come l’archetipica trattoria, in cui si mangia bene, con piatti della tradizione, spendendo poco. Non è così. Ai Due Platani si mangia benissimo (Gianni Mura ha eletto il suo pasto lì ‘miglior cena dell’anno’), splendidamente, con piatti della tradizione e prodotti eccellenti della bassa parmense, ma anche piatti contemporanei e pieni d’ispirazione e di sapore, spendendo come in un ristorante economico. L’uovo di colombo.

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Ci accomodiamo in una stanza calda, con il legno alle pareti, le bottiglie allineate su uno zoccolo di terracotta a fianco del tavolo e le tovaglie a scacchi. Su ogni tavolo c’è una pentolina agnelli piena di mele, al posto dei fiori che fanno polvere. Il calice di merlot che mi viene proposto come vino alla mescita è buonissimo, profondo, non certo il vino sincero e un po’ acidulo che fa rima con trattoria. Attingiamo dal menu secondo lo spirito del luogo, che come dicevo è binario: antipasto di salumi con torta fritta e parmigiano per la tradizione e ‘sandwich di tinca con crema di broccolo’ per la creatività, e quindi tortelli di zucca da una parte e pappardelle ‘ripiene di pecorino’ con ragù d’anatra, cipolla caramellata e rosmarino dall’altra. Il servizio è cordiale e posato, camerieri adulti dotati di grembiule e sorriso ci portano un piatto di salumi eccezionali accompagnati da un parmigiano trenta mesi e uno gnocco fritto abbastanza spesso e ruvido, molto diverso da quello soffice ed etereo piacentino, fritto alla perfezione, unto non pervenuto. Fantastico.

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Il sandwich di tinca è, probabilmente, il piatto migliore della giornata, con i due filetti del pesce lacustre dalle carni dolci e scioglievoli racchiuse ognuna in due fette di pane sottile e croccante come una cialda, ritagliato secondo la forma del pesce stesso per non lasciare neanche un morso di pane solitario. La crema di broccoli è agliata e sapida e c’è anche qualche ciuffetto di quella che sembra una bernese ben montata, che una volta finito il toast mi premuro di pulir bene dal piatto con pezzi di gnocco fritto. I tortelli di zucca sembrano fatti apposta per me, con una sfoglia gialla come il sole e una quantità di ripieno oltraggiosa, soffice come una nuvola, da cui spicca la totale assenza di amaretto, che odio più del male. Le pappardelle sono agli antipodi, perché la sfoglia verde è spessa e robusta, dal momento che è stata stesa a strati sovrapposti separati da un velo di pecorino grattugiato, una sorta di spoja lorda. Un piatto ottimo, da mangiare in quantità smodate, opulento. E poi arriva il gelato.

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Non ordinavo gelato al ristorante dal 1994, suppergiù. Ma chiamare il gelato dei Due Platani ‘gelato’ è come chiamare i Due Platani ‘trattoria’: un semplicismo che sfocia nella mistificazione. Intanto perchè è una crema all’uovo magnificamente mantecata, poi perché arriva su un carrello assieme allo chef Mattia Serventi che te lo condisce come vuoi: perline di cioccolato, croccanti di nocciole, fonduta al fondente, persino Grand Marnier e Borsci San Marzano. Io, nel dubbio, ci ho fatto mettere tutto. E mi sono goduto una coppa memorabile. Mi godo anche il conto di 74 euro che, ciclicamente, torna a spiegare l’introduzione: in quale ristorante di alto livello si può spendere una cifra simile per tutto quanto elencato? Il patron Giancarlo Tavani è simpatico e gentile, d’altra parte è di Pizzighettone (momento campanilistico cremonese) e ha lavorato per anni alla storica gelateria Les Pailles, il che potrebbe spiegare un gelato di questo livello. Chiudo la porta un po’ immalinconito perché da Milano i Due Platani distano quasi due ore, e vorrei fosse solo un po’ più facile tornare a gustare, parafrasando Gianni Mura, ‘il pranzo migliore dell’anno’.

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