Il primo giorno senza Londra

Oggi è il primo giorno di Europa senza Londra. Ho sempre fatto fatica a raccontare cosa sia Londra per me, per tanti motivi palesi e qualcuno misterioso. Tra quelli palesi c’è la repulsione per quell’amore di Londra fatuo, posticcio, fatto di selfie davanti al Big Ben taggando il Big Bang e due anfibi comprati a Camden Town. C’è anche la reverenza per quell’amore di Londra storico, letterario e patriottico, diventato a volte banale aforisma e altre volte, al contrario, capace di un lirismo a cui non posso e non voglio ambire. “Londra è la camera di compensazione del mondo”, disse una volta un politico di nome Joseph Chamberlain. È un concetto che ha a che fare con la finanza, quello di camera di compensazione, ma quanta poesia c’è lì dentro? È l’immagine di una grande stanza, un’enorme stanza in cui per andare da Richmond a Stratford ci metti anche un’ora e mezza in metropolitana, ma è la stessa città. E questa stanza compensa, aggiusta, livella e da una casa allo straniero, un futuro all’ambizioso, un posto nel mondo a chi non l’ha ancora trovato. Sono stato a Londra tante volte negli ultimi trent’anni, da contarle su tante mani, e ogni volta ho visto una casa, un futuro e un posto nel mondo. E oggi a saperla lì, intatta dov’era al di là della manica, che so che non finisce niente e che al massimo dovrò firmare due scartoffie in più, non sono triste. Mi sento solo un po’ più solo.
Qui sotto c’è un pezzo del mio libro Qualcuno da Amare e Qualcosa da Mangiare che parla di Londra. Parla di un pub in periferia, di una brigata di kosovari e di un serbo dal cuore buono. E c’è anche una ricetta!
La vita è rischio
La posizione di Filip sul börek era abbastanza manichea, a dirla tutta. La verità è che il börek, più che una torta salata, è una lingua franca che accomuna un numero indefinito di paesi dalla Turchia alla Croazia, e ognuno lo fa “un po’ come cazzo gli pare”, citando un comico famoso. L’unica costante è la pasta fillo, che in base a dove ti trovi può chiamarsi anche filo, yufka o chissà in quanti altri diavolo di modi. Per il resto, armiamoci e partite, regna la fantasia. In linea di massima comunque è vero: in Serbia il ripieno di carne e cipolle va per la maggiore, mentre in Albania e in Kosovo gli si preferisce un misto di formaggio locale (che potremmo definire come una via di mezzo tra la ricotta e la feta con sentori di limone) e delle verdure a foglia che in un mondo fatto solo di supermercati sarebbero semplicemente spinaci, ma in un mondo fatto di contadini e di fatica possono essere qualsiasi altra cosa. Perché non usare le foglie delle cime di rapa, invece di buttarle dopo aver fatto il sugo delle orecchiette?
Comunque il börek è una torta salata, fatta con la pasta fillo e di forma generalmente rotonda. Dopo aver preparato 150 grammi di pasta fillo (qualcuno ha detto “com-rato”?) bisogna solo scegliere da che parte stare sullo scacchiere internazionale, vale a dire se preparare la versione “serba” o quella “albanese-kosovara”. Nel primo caso si preparano:
Una grossa cipolla
500 g di carne macinata
2 cucchiai d’olio
2 cucchiaini di paprika
Un cucchiaino di pepe nero macinato
2 pizzichi di sale
Un mazzetto di prezzemolo
Un uovo
50 g di yogurt greco
Si fa stufare la cipolla in una padella, finché sarà tenera e con un principio di crosticina.
Un pizzico di sale e poi si aggiungono la carne e le spezie. Si sala di nuovo, si mischia in modo omogeneo e si fa cuocere per una ventina di minuti, a fuoco alto, girando solo due o tre volte, finché questa sorta di ragù asciutto non è diventato tenero.
A quel punto prezzemolo tritato, una regolata al sale, e poi via dal fuoco. Bisogna scolare bene questo trito, tenendo da parte il liquido in eccesso, e far raffreddare completamente entrambi. Quel liquido, una volta freddo, va unito a un uovo sbattuto e allo yogurt greco: sarà la “glassa” del börek.
Per la versione “albanese”, invece, gli ingredienti necessari sono:
250 g di ricotta
200 g di feta
75 g di yogurt greco (per il ripieno)
300 g di verdura a foglia (io amo mischiare in parti uguali cavolo nero ed erbe di campo)
2 cucchiai di coda di porro
Pepe nero
Un uovo
50 g di yogurt greco (per la glassa)
Un cucchiaio d’olio
La verdura a foglia va sminuzzata, sbollentata in acqua salata per un minuto e fatta raffreddare con un getto di acqua fredda. Va scolata bene, strizzata e asciugata.
Poi la si unisce alla ricotta (scolata), alla feta sbriciolata a mano e allo yogurt greco, in un composto compatto. Una generosa grattugiata di pepe nero e, a me piace fare così, due cucchiai di coda di porro (la parte verde dell’ortaggio) affettata finemente al coltello: aggiunge un po’ di croccantino e infonde nel ripieno un sentore delicato di cipolla.
Per la glassa, sempre yogurt e uovo, stavolta con un po’ d’olio al posto del fondo di cottura della carne (che in questa versione non c’è).
Qualsiasi ripieno si scelga, una volta pronto inizia la parte divertente: bisogna preparare dei lunghi “sigari” di pasta fillo ripiena. Si srotola un foglio di pasta, gli si mette sopra una striscia di carne, oppure di formaggio e verdura, per tutta la sua lunghezza e lo si arrotola, appunto come un sigaro. Si continua così finché non finisce la pasta o il ripieno: arrivare a pari è questione solo di fortuna più che di lunga pratica.
A questo punto bisogna trasformare tutti questi rotoli in una spirale non interrotta, e per farlo occorre una teglia rotonda (da 24 centimetri di diametro, per queste dosi), o anche una capiente padella di ghisa.
Teglia o padella che sia, la si unge bene d’olio e si appoggia il primo sigaro al bordo interno. Gli si mette di anco un altro sigaro e così via, no ad aver formato una coreografica spirale nella padella.
A quel punto basta spennellare la spirale con la glassa precedentemente preparata e poi metterla in forno a cuocere a 180 gradi per quaranta-cinquanta minuti, spostandola sul fondo del forno dieci o quindici minuti prima della ne.
Quando sarà raggiante, dorata e in qualche punto anche un po’ abbrustolita, possiamo dichiararla pronta.

Va lasciata raffreddare prima di mangiarla, anche perché poi è fisicamente impossibile fermarsi, e una cena in compagnia può diventare una battaglia campale, senza vinti né vincitori. Qualsiasi paragone con le battaglie dicui mi parlava Filip, tuttavia, sarebbe abbastanza fuori luogo.